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18 Maggio 2014

L’Unità – Dati alla mano

“Per tutti gli anni ’20 i pubblicisti non avevano fatto che strombazzare il medesimo ritornello: la prosperità di quel decennio era merito della genialità degli uomini d’affari. Orbene, se l’uomo d’affari aveva prodotto la prosperità, chi, se non lui, doveva essere ritenuto responsabile della crisi? Con grande irritazione del mondo della finanza il presidente Hoover iniziò una caccia alle streghe. Deluso al vedere che le sue formule non sanavano l’economia, nella primavera del 1932 egli sollecitò un’inchiesta senatoriale su Wall Street, per dare una lezione agli speculatori che secondo lui avevano organizzato ‘colpi di mano’ sul mercato azionario. Capeggiata dallo scrupoloso e tenace  Ferdinand Pecora, la commissione d’inchiesta mandò in frantumi la tradizionale immagine del finanziere, che era sempre stato presentato come un individuo probo, preoccupato soprattutto dell’interesse dei suoi clienti, esponente di un’istituzione che poteva essere considerata un modello di onestà. Pecora rivelò che gli uomini più rispettati di Wall Street si erano collegati fra loro per rarefare l’offerta, avevano mantenuto artificialmente elevati i prezzi delle obbligazioni e si erano riempite le tasche di gratifiche iperboliche. La commissione scoprì che i principali istituti finanziari offrivano a una cerchia di intimi azioni ad un prezzo molto più basso di quello che veniva pagato dal pubblico. Quando alcuni funzionari della National City Bank di Charles Mitchell si erano trovati sull’orlo della rovina per aver fatto investimenti azzardati, la banca aveva concesso loro dei prestiti senza interesse, e ciò mentre gettava a mare senza pietà i propri clienti. (…)

Eppure, se in America venne meno ogni fiducia negli uomini d’affari, ciò non fu tanto per la loro disonestà professionale, quanto per la loro completa insensibilità sociale. In un momento in cui milioni d’individui rischiavano di morire d’inedia e tanta gente era costretta a razzolare tra i rifiuti per trovare un po’ di cibo, banchieri come Wiggin e capitani d’industria come George Washington Hill della American Tobacco percepivano gratifiche e stipendi astronomici. Come se non bastasse, molti di costoro, compreso Wiggin, manipolavano i loro investimenti in modo da non pagare alcuna imposta sul reddito. A Chicago, dove gli insegnanti, senza paga da mesi, svenivano nelle aule per denutrizione, facoltosi cittadini di fama nazionale si rifiutavano impudentemente di pagare le imposte o presentavano al fisco denunce false. A Detroit, la più duramente colpita fra tutte le grandi città, Henry Ford diede l’esempio agli altri uomini d’affari ricusando di addossarsi qualsiasi onere per l’assistenza ai disoccupati. In un discorso che tenne nell’ottobre 1930 alla National Association of Manufacturers (Assocazione Nazionale degli Industriali), di cui era presidente, John Edgerton affermò categoricamente che i disoccupati erano essi stessi i veri responsabili della loro miseria. (….) Quando Roosevelt prese la sua carica il paese era inferocito per il comportamento dei banchieri e degli industriali”

Da “Roosevelt e il New Deal” di William  E. Leuchtenburg, Laterza 1976, pp.18-20. Traduzione di Alberto Acquarone, edizione originale in inglese pubblicata nel 1963